L'opera lirica deve fondere la rappresentazione scenica con la musica, se ciò non avviene, l'opera potrà dirsi “stonata”. Così è avvenuto alla stupenda opera di Arrigo Boito, che ha goduto nell'edizione del 2008 al teatro Massimo di una lettura molto particolare. Attuata Modernamente e in modo troppo personale trascurando vari particolari, importanti per chi, nella rappresentazione di un'opera lirica, ama il rispetto delle indicazioni date dall'autore nel libretto. Con questa nota, Mefistofele apre la stagione lirica 2008 del Teatro Massimo di Palermo. Lasciando da parte il dolore del melomane per lo scempio causato all'acustica di questo teatro, tra i primi d'Europa, dopo ventiquattro anni di chiusura per “lavori“ di restauro, analizziamo solo la messa in scena di questa edizione.
Già il prologo, per chi scrive, il duetto tra “Satana e il CIEL”, dove si sarebbe dovuto mettere più in risalto il coro angelico anziché uno strano imbuto, che Mefistofele risale, come nel finale; se nel prologo vuol significare la salita del demone dall'inferno alla terra nell'epilogo, doveva, invece, sprofondarvi.
Nel primo atto, il suono delle campane, provenienti dall'orchestra, sale come un sogno musicale, avendo trascurato la scenografia di introdurre almeno, il campanile della chiesa che denota, a chi non conosce la trama, la ricorrenza festiva della S. Pasqua. Al posto della chiesa s'impone, con invadenza, una giostra che fa “sentire”, fin troppo, la sua presenza nel cambio di scena, proprio, a coprire il pianissimo dell'orchestra, oltre a servire da poco appropriato sasso dove siedono Faust e Wagner. ”siediam sopra quel sasso” e di solito dovrebbero sedere lontani dalla folla.
L'incontro tra Faust e Mefistofele, anziché avvenire all'interno della casa di Faust lo vede affacciato al balcone importunare un passante, Mefistofele, senza alcun motivo e senza contare i rischi corsi di perdere le battute se un imprevisto avesse ritardato la salita di Mefistofele sino al balcone per “stendere il suo mantel”.
Il giardino di Marta nel secondo atto sembra più il cortile di un carcere, e il Saba infernale, ambientato in una discoteca, potrebbe avere un'allegoria realistica, ma disturba e non rende l'idea della vera ambientazione, tanto meno la visione di Margherita in un barattolo, alla fantasia del pubblico sta indovinare se sott'olio, sott'aceto o sotto spirito. Avrebbe meglio reso l'idea una visione immaginaria e personale di Faust, non visibile dal pubblico.
Nel terzo atto lo squallore della prigione non richiede nessuno sforzo scenico e il finale è ben rappresentato, vedendo Margherita salire su una croce che cala d'improvviso nella sua vita e preferendola alla fuga col demone che aveva riconosciuto.
L'apice del cattivo gusto e interpretazione troppo personalizzata si ha proprio nel quarto atto. Il classico Saba, dove Mefisdtofele nelle vesti di portiere intrattenitore e fotografo fa conoscere a Faust Elena di Troia che alloggia con Panthalis in una conchiglia proveniente, possibilmente dall'isola di Saffo date le moine, ingiustificate, inscenate tra le due coabitanti e la cosa più inspiegabile e che quando Faust occupa il suo posto Panthalis, anziché come da libretto cantare con Nereo, in quest'edizione invisibile, e Mefistofele, resta nella conchiglia che viene richiusa a tener compagnia ai due amanti, chissà!
Dell'Epilogo ne abbiamo già parlato in precedenza, senza conoscere il libretto tutto farebbe pensare che quel diavolo di Mefistofele abbia già portato la sua preda all'inferno, mentre si sarebbero dovuti trovare nel suo studio per le ultime tentazioni. Il finale vede risalire Mefistofele lo strano imbuto brandendo una sedia, ma che c'entra la sedia? Scusate anche la sedia?
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