Il Teatro Regio di Parma, dopo il fortunato esperimento di
un paio di anni fa, torna ad allestire un'opera in collaborazione con il
Conservatorio di Musica Arrigo Boito, dimostrando il suo impegno nella
formazione e l'importanza che riconosce nei giovani interpreti.
Incarico lodevole se non fosse eseguito a spese degli abbonati, che si
trovano questa produzione, seppur di un certo livello, ad occupare un terzo del
loro abbonamento a dei prezzi che non sono propriamente in linea con la qualità
corrisposta.
Ci sono altre istituzioni fortemente impegnate nell'istruzione e nella
preparazione, con rinomate accademie e conseguenti messinscene, tra l'altro
molto seguite dal pubblico, anche straniero, ma i prezzi dei biglietti sono
decisamente differenti. E questo è proprio uno dei maggiori difetti del
Teatro Regio di Parma: anche al botteghino si fregia di un grande nome
che non ha più, poiché nei blog, nei forum e in alcuni corridoi è diventato
invece occasione di scherno.
Ancora una volta a firmare la regia della produzione giovanile è il bravo
Andrea Cigni, che costruisce la sua vicenda all'interno
dell'oggetto che ha creato tutti gli equivoci tra i vari personaggi: un'enorme
valigia - ad opera dello scenografo Dario Gessati.
Come sempre il lavoro sugli interpreti è eccellente, tanto nella gestualità
quanto negli sguardi, come pure l'uso dei mimi e la costruzione di alcune
controscene.
Peccato per la caduta di stile con il ballettino nel terzetto Alberto,
Parmenione, Martino e col giro dei ritratti nel quintetto.
A parte ciò la regia è piacevolissima e, con l'aiuto dei bellissimi
costumi di Simona Morresi, a tratti ricorda Stanlio e
Ollio, i fratelli Marx e Charlie Chaplin.
Giustamente identificato anche geograficamente, il viaggio per Napoli parte
da Parma e subito si inizia a sorridere.
Alessandro D'Agostini dirige con grande efficacia e
sicurezza d'intenzione l'Orchestra del Conservatorio di Musica Arrigo
Boito, che ancora una volta dimostra di sapersi districare molto bene
anche all'interno di partiture complesse: le farse rossiniane, contrariamente a
quanto pensano certi melomani parmigiani, sono tutt'altro che “operette” - per
usare un loro termine. E se questo è il modo per portare un nuovo Rossini a
Parma che non siano le solite quattro grandi opere comiche, allora ben venga,
anche se basterebbe molto poco per alzare notevolmente ed indiscutibilmente il
livello: non si può certo rivaleggiare con l'accademia di Pesaro, ma un
responsabile musicale di comprovata esperienza al ROF e accanto a Zedda, da
affiancarsi ai coordinatori della Scuola di Canto del Conservatorio,
incrementerebbe a dismisura la qualità di questi spettacoli.
Nao Yokomae è una brava Berenice, inizialmente non
troppo intonata, ma poi puntuale e precisa, soprattutto nel duetto con
Parmenione e nell'aria finale, anche se lo stile di canto è tutt'altro che
rossiniano.
Manuel Amati, che abbiamo già ascoltato in piccoli ruoli in
altre produzioni, nei panni di Alberto dimostra indiscutibili doti di
attore; in quanto alla voce si percepisce un ottimo potenziale, ma è ancora
molto giovane e le imprecisioni ancora tante. Sarebbe auspicabile che si facesse
ascoltare da un insegnante specialista nel repertorio rossiniano, poiché ha una
vocalità molto particolare e non è detto che debba essere trattata come le
altre. Tanta limpidezza non deve essere sprecata.
Jaehong Jung è un bravo Parmenione, molto ben
impostato e ben timbrato, seppur non troppo brillante e tende ad inserire troppe
h nelle agilità.
Molto bravo il Martino di Nicolò Donini che riesce
davvero bene sia nell'interpretazione sia nel canto.
Nota più che positiva per l'Ernestina di Federica Cacciatore,
un poco tirata negli acuti, ma naturalmente dotata di grande musicalità e begli
armonici.
Efficacissimo il simpatico Eusebio di Davide Zaccherini.
Sinceri e meritati applausi per tutti.
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